Molti bar – di Malos Mannaja

Franco frequenta molti bar.
Prima dell’alba, fa tappa al bar Bagianni, all’angolo di quella strada che d’istinto viene di qua, ma poi svolta recisa di là.
Il gestore è un uomo sui sessanta, assai pedante: dietro al bancone scruta la realtà con occhi strigiformi, arricciandosi i peli fulvo-chiari della barba, screziati di grigio.
Franco ordina i pensieri.

– Il solito corretto, Gianni.
– Mphff.

Il rito ritrito del caffè apre la mente al mondo, mentre la polvere rincuora i singoli clienti in controluce, poggiando lente mani sulle spalle.
Non appena il ragazzo lascia il dovuto sul bancone, la mano del gestore s’avvita in picchiata verso l’euro, artigliandolo.

– Buon lavoro, Franco.
– Rapace e bene, Gianni. A domani.

Franco lavora in fonderia: fusioni in leghe d’alluminio, ottone e bronzo, turno 6-15 per oggi. Lo stipendio è millecento euro, perciò più volte è assai difficile arrivare a fine mese, tolti i seicento e rotti dell’affitto. Talvolta è addirittura impossibile, come per il Giupi, rimasto incastrato negli ingranaggi d’un macchinario alcuni giorni fa, dopo essere diventato il re del “fuori orario”, grazie alla legge sulla detassazione degli straordinari alle imprese.
Finito il turno di lavoro, il ragazzo torna a casa e si riposa fino a dopo cena.
Poi esce nuovamente in cerca d’una sacrosanta scopata: prova a rimorchiare una biondina al bar Trom, ma gli va buca. Così s’aggira ramingo per la strada: forse… quasi quasi… un salto al bar Mastùr lo si potrebbe fare, anche se il proprietario segaligno gli sta un poco sulle balle.
Esita indeciso, per cui alla fine si concede un gin al Titu bar.
Qualche risata, un Newton cabalista che prevede apocalissi e invece le tragedie in bilico, negli occhi di ogni giorno: Tivì cassintegrato da sei mesi e Giulio senza il figlio, morto l’anno scorso.
Ai tavolini più oltre due donne: una ossigenata, magrissima, col naso a definirle l’espressione propria d’uno spartitraffico in cemento, l’altra con gli occhi ad etichetta storta e il volto sprangato, appesa a stagionare giù in cantina.
E’ quasi notte.
Franco s’accinge a crepuscolare l’ultimo goccetto di long-drink, quando il gestore rumeno lo arringa con fare complice.

– Allora, cos’hai sceltu, per il tiefe-erre?
– Lo lascio in azienda, bello.

– Ce l’hai con me?
– No. Solo che quando ti dicono “silenzio assenso”…quando ti dicono: se tu non fai niente lo giriamo alla previdenza integrativa eh, eh…
– Eh-eh cosa?
– Sveglia bello, se cercano di mettermelo là, sto mica fermo, io ahr…
– Quindi tu lasci in azienda, con spalle ben strusciate a muru.
– Bravo.

Pausa. Il bancone puzza di candeggina virata al fraschino.
Una lama di giornale s’insinua tra i due, mozzando la conversazione. Dietro c’è Carlo: dà le spalle a Titu, annichilendone l’esistenza oltre la pagina inchiostrata, in un perfetto mimetismo d’antracite su buio.

– Hai visto che hanno cancellato la mostra degli artisti alternativi a Malogna?
– Alternativi?
– Giovani artisti, era una mostra contro il degrado, avevo cercato di iscrivermi anch’io.
– Hanno cancellato il degrado o la mostra?
– E’ successo un gran casino per il titolo.
– Cioè?
– “La Madonna piange sperma”. La curia, il sindaco, l’assessore alla cultura: tutti a dire che è un’abominevole bestemmia, una volgarità inaccettabile…
– Lo sperma, la Madonna che piange, o l’insieme?
– L’insieme, credo.
– In tivvù, Beltroni ha detto che è bello stare insieme.
– Cazzo se sei zen, di prima serata!
– A volte mi capita, dopo il gin tonic.

E detto fatto, Franco ingolla le ultime gocce di liquido, infibula il pensiero ed esce dal locale.
La depressione gli morde la gola azzannando un bicchiere dopo l’altro: in rapida sequenza il ragazzo si paga da bere facendo tappa al bar Bera, al bar Dolino, al bar Olo, e infine al bar Baresco, dove si ferma a conversare con Giovanni, un vecchio amico.


– Hai mai pensato che qui… al bar Baresco… entro due volte al bar ed esco una volta sola?
– Ih, ih… sei già sbronzo, Franco. E sono appena le undici.
– Sento che… sento che anch’io vado a finire come il Giupi.
– Ohi,
t’ha colto il pessimismo cosmico al quadrato? In senso lato, per lato, intendo.
– Non so. Il senso nasce soltanto dalla fecondazione di testo e contesto.
– Eh?
– Però sono due maschili. Testo e contesto, intendo.
– Ossignùr sei proprio andato. Mmm, vorrà dire che il senso non è concepibile.
– Vedi che non c’è scampo, allora?

E, detto fatto, Franco balza su un tavolo e declama ad alta voce questi versi.

 D’Arianna fritta

Sottotitolo esplicativo:  discorse inutili (nella distanza)

 

Stava Teseo smarrito apotropaico
pensiero stagno senza evento
e non tirava un filo

 Esile logico in Arianna
campava i suoi discorsi sul traguardo

 (e non vedevo…)


Poi, con voce dottorale e monocorde, reclina il capo e chiosa.

 
Dall’alto, su un piano più oggettivo,
lesto svanisce il refe

 che guida il
labirinto dei tuoi passi

 
Giovanni ha il mento spencolato a combaciare terra: guarda l’amico stupefatto quanto una pista di coca.

– Cazzo, Franco! …se sei così  ispirato andiamo subito al bar Tista!
– E… e perché no? Hey, oh let’s go!

Per strada Franco è alticcio e opta per un salto al bar Collante, prendendosi una storta alla caviglia e faticando in seguito ad accomiatarsi da un gruppo di avventori molto appiccicosi.
Giovanni è più lucido.

– Molla questi “avventosi” e andiamo al Tista.
– Ok… ché il rosso a me fa aria.

Prrrt. Escono.
Ai margini del campo visivo, la notte è un sussulto di pantegana da cogliere nell’attimo.
Franco sentenzia.

– Pantegana rei!
– Eh, eh… senti, raccontami qualcosa di diverso. Qualche notizia buffa, anche recente.
– Mmmm… tempo fa leggevo il televideo e c’era questa notizia, su Uotson, il genetista americano dell’elica del dienneà, c’ha presente? Quello di Uotson e cric.

– Elementare, Uotson, dica pure.
– Ecco, aveva rilasciato una dichiarazione idiota, del tipo “i neri sono geneticamente meno intelligenti”, teoria supportata da sue fondate convinzioni.
– Oh…
– Sì, una cosa che ho pensato: con tanto che è un *nobel*, parimenti questo è proprio *scemo*.
– Vabbè… e poi?
– Poi ieri sera scorrevo il Corriere…
– Ok, la suspàns l’hai creata. Vuoi venire al dunque?
– Dunque… aaahhh godo! Ehm, dunque, dicevo, si dà il caso che il buon Uotson, mosso da “bonariana” generosità, abbia *donato* il suo genoma da sequenziare a qualche Biogenomic Society americana. E sai qual è stato il risultato?
– No, dimmelo tu.
– Uotson ha un 17% di geni di derivazione “africana” contro una media dell’1% nella popolazione americanaa aha ha ah ah!!

Giovanni resta serio, mentre arrotola la lingua e infine schiocca.

 – Maccheccazzo ridi, Franco! Non capisci?? E’ terribile! E’ assolutamente terribile: la sua teoria era esatta!
– ?
– Ecco, adesso, se vuoi, puoi ridere.

 Ma non c’è tempo, che sono già all’ingresso del bar Tista, florido crocicchio di autori di serie bi.
Scrivono tutti.
Scrivono col taglierino a sbalzo sui tavolacci in legno, col dito sui vetri appannati, col checiàp sui tovagliolini in carta acrilica, nonché con ombre cinesi sui muri, l’ambendosi pietre angolari della letteratura.
Tutti scrivono.
Eppure, quasi nessuno legge.

Surreali non-dialoghi tra sordi s’accavallano e s’ingroppano l’un l’altro fino a tarda notte: niente leggendarie scopate né sputtanamenti di puttane, non i rigori imposti della recessione sul bilancio familiare né quelli regalati alla Juventus, non tette e non Totti. Non malasanità, niente Mastelle cadenti né invasi ove stivare tonnellate di rifiuti, non tifo politico per questo o quel partito (per la tangente), come pure nessuna ipotesi investigativa sull’ultimo assassinio tragicommediatico.
Solo una liquida graforrea: cristalli d’oppio che alleviano i bi-sogni del malato videoterminale.
Metastasi virtuali di silenzi reali, astrattamente solipsistici.

I gestori faticano a contenere la mole di parole.
Franco strabuzza le orecchie, fruendo come spazio di scrittura delle “cartelagini” erose nella sua caviglia slogata. Ecco cosa:

Spaurita
Sottotitolo esplicativo: oggi mi duole un garetti


Sparuta
un’altra solitudine s’aggira

 poi vaporosa prova
a rugiadare
avere

 Ti bagna

 è già sparita

 Giovanni s’inabissa in un cantuccio, recuperando un fazzolettino Klìnecs poco usato: lo stende e lo stira, scribacchiando a mo’ di slalom, tra i grumi di muco rappreso.

Aviaria fritta
Sottotitolo esplicativo: etciù!

 
Mi cola il naso e ho gli occhi molto rossi
probabile che sia l’ininfluenza
mi guardo intorno e mio malgrado vedo


Che già mi piego a fazzoletto sfatto
starnuto o meno in fondo poco cambia
che io ci sia, sia stato, o che non sia

(esistito)

Franco stizza.

– E’ un disastro ecologico: oleosa la scrittura fuoriesce dal ventre inabissato d’una petroliera, spandendosi d’inchiostro macchia nera… et voilà, pure una baciata di slancio!

Qualcuno risponde altro.

– Mi vedo, rannicchiato in posizione fetale sul terreno (gambe malmesse), simmentre nel contempo ancheggio in tacchi a spillo, frollando ulteriormente passo passo la poltiglia grigia (le gambe a statuaria coscialunga).

Un urlo tra le righe compatte degli astanti.

– Scrittura combustibileeeee!

Segue un vociare polifonico a cappella.

– Traumi infantili inferti da una dura madre, nonché un vertiginoso sguardo in alto, alla ricerca del senso di tutto ciò.
– Peculiare doppiezza: essa è combustibile *fossile*, ma anche *vivo* motore del mondo.
– Con-fesso che spesso mi domando: siamo evolutivamente adeguati? Io non so lo… Se altri hanno una risposta credibile me la cefalorachi-diano.
– Io ho mal di testa.
– Gestoreee! I salatini sanno di gomma pane!
– Vabbè, tiriamo a campare: potremmo farci financo un giro al bar Camenarsi, magari c’è una rissa.
– Questa malattia cronica è cranica: più che una “cefalea a grappolo”, m’appare a ragione *il pensiero* stesso, mentre l’opercolo della fontanella lambdoidea si fa cruna d’ago, attraverso cui fatica assai a passare il cammello della comprensione di ciò che è altro da noi.
– Trallallero trallallà.
– Qualcuno sa se i raggi u.v.a. c’hanno i chicchi?
– Ehi guardate tutti! Sto scrivendo su Dario!
– Specie il mio: è un inquinante a-mare, torbido pericolo per l’ecosistema della purezza del verso, da segnalare con ululante allarme di sirene della guardia costiera…
– Gestoreee! E’ contro la legge se qualcuno legge?
– Ma anche sirena incendiaria, capace col suo canto di ammaliare ed infuocare gli animi.
– Mmm… è la tua risposta definitiva? La accendiamo?

Il bar Tista è un faro che  risplende fino a tarda notte.
Odore di carne bruciata.

Poi.
Pian piano è l’ora in punto di tornare a casa.
Franco si congeda da Giovanni e sulla porta del locale s’innamora del riflesso d’una ragazza gobba. Come in un “dire fare baciare lettera testamento”, laddove sia uscita l’ultima eventualità, il ragazzo scrive col dito nudo sul dorso della condensa.

 Passerà solitaria
Sottotitolo esplicativo: vita oleopardiana in insalata

 Amore
non temere

 cantando andando
anche quest’ultima parola
passerà

Una risposta

  1. tumultuoseggi più del tuo solito, vedo,con afflati mistici ed etici intrecciati a consuete giocolerie parolaie…;-)
    non mi sono preso la briga di guardare refusi, troppo intento ad arrivare alla passerà solitaria, ché tu sai come mi istighi alla bulimia di lettura…;-)

  2. ma com’è il trattamento di fine rapporto al Trom Bar?
    Ce lo chiediamo tutti, qui al Bar Bagia.
    Rivedere il Malos che scrive è come riveder le stelle.
    Cyb, prima o poi ti scritturo come vignettista.

  3. ringrazio la generosità di chi, per amicizia o per amore, lesse e commentò.

    @ cyb: ebbenesì, la passera solitaria solitamente istiga :))
    le vignette son splendide, zenks!

    @bobboti: a meno di frigidità insolventi, al bar Trom a fine rapporto non si fa troppo caso al trattamento: eh, come viene, viene :))
    vieppiù mi commuove la tua stima abbondantesca 🙂

    baci
    🙂
    malos

  4. un po’ raffazzonato, invero. giochini di parole (e personaggi improbabili a far da cornice) in un borioso avanguardismo da operetta teatrale. si nota un certo infantilismo di fondo, a tratti sconfinante in onanismo mentale.
    non so.
    (occhio, refusi: un ostrica; saltabecante; del ippopotamo; e “quadittongo” vs “quadrittongo”)

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